'La Bolla dell'Autismo' Capitolo 6 Forse l'autismo non esiste

CONSULTI PER BAMBINI ADOLESCENTI E FAMIGLIE

Da La Bolla dell'Autismo, G Benedetti, aprile 2020.

Capitolo 6

Forse l'autismo non esiste

Viene attribuita allo psicoanalista e pediatra inglese D. Winnicott, poco dopo la 'scoperta' dell'autismo, la seguente affermazione: “Il destino dei bambini autistici è diventato preoccupante il giorno in cui Kanner ha isolato una sindrome che ha chiamato Autismo. A partire da quel giorno i pediatri hanno smesso di recare il loro appoggio a un tipo di madri in difficoltà: non era più necessario parlare a queste povere donne tribolate, diveniva vano restare il supporto dei loro interrogativi, dal momento che la scienza aveva dato la misura del suo sapere apponendo un nome alla malattia.<(/em>”1.

Mi sembrano parole profetiche di quello che stiamo vedendo ai nostri giorni: genitori che si rivolgono a pediatri per qualche difficoltà dei loro bimbi e sono subito indirizzati a servizi e centri specialistici dove vengono sottoposti a visite diverse da diversi specialisti, test, tabelle, misurazioni, ecc., dalla somma delle quali viene loro confezionata una diagnosi statistica con numeri e percentuali e poi data l'indicazione buona per tutte le stagioni: psicomotricità, logopedia e terapia aba, variamente dosate e mescolate.

La questione autismo è arrivata a mio parere a un punto non più tollerabile, perché si mescolano in maniera intricata aspetti di grave errore concettuale e scientifico ed aspetti forse truffaldini e manipolativi veramente pericolosi per la salute pubblica. Cioè per il benessere di bambini e famiglie che sono in questo periodo spesso travolti da diagnosi sbagliate e improvvide che le gettano inutilmente in un inferno, spesso, di procedure, interventi, esami e poi diagnosi e terapie fondate sul nulla.

Cominciamo dalla psicosi attuale che si è diffusa ovunque, che parla di un'epidemia di autismo – o 'spettro autistico', ci torneremo fra poco – che sarebbe arrivata secondo le ultime rilevazioni epidemiologiche, a stime di 1 ogni 38 bambini, più del 2 percento della popolazione infantile. Vent'anni fa o poco più si parlava di 0,5 per mille. Ci sarebbe stato quindi un aumento grandissimo dei casi in pochi anni, che ha indotto un pullulare di ipotesi esplicative mai dimostrate, come quella dei vaccini o dei metalli pesanti, oltre che il diffondersi di panico e di movimenti lobbistici e cure miracolose.

In realtà è opinione di molti che questi dati epidemiologici siano sbagliati, perché sono fondati su rilevazioni errate nei loro fondamenti, nei criteri di valutazione e nei metodi di diagnosi. Sono dati che diffondono però in buona o cattiva fede allarmismo e turbamento. Lo sbaglio è probabilmente di fondo, un vero e proprio errore concettuale ed epistemologico su cui torneremo fra poco.
Rileviamo intanto che non solo da molte parti esterne al cosiddetto 'mondo scientifico e accademico' dominante in questi ultimi anni, ma recentemente anche dal suo interno stanno arrivando critiche e ripensamenti che investono tutto l'edificio costruito da quelle che forse sono diventate vere e proprie lobby dell'autismo. Queste critiche mettono in dubbio le stesse fondamenta, cioè le basi concettuali stesse della teoria dell'autismo.

Alla base di tutta la costruzione concettuale dell'Autismo assemblata per rimaneggiamenti successivi fino ad ora c'è l' assunto che ai comportamenti e sintomi osservati in certi bambini – prima non distinti dalla quantità di bambini considerati semplicemente ritardati mentali, handicappati, 'degenerati’, in una parola in uso nella prima metà del novecento, fino a quarant'anni fa tutti più o meno rinchiusi in istituti – debba corrispondere una malattia o disfunzione cerebrale che può rendere conto dei vari sintomi. A questo proposito la cosiddetta Ricerca Scientifica sull'Autismo - cioè l'insieme dei lavori pubblicati sulle varie riviste scientifiche, presentati nei convegni della comunità scientifica, ecc. - circa vent'anni fa è in pratica ripartita facendo tabula rasa delle teorie e conoscenze precedenti e per vent'anni ha speso una notevole quantità di energie e fondi nella genetica, nella biochimica, nella neurologia, ecc alla ricerca di una base patologica unificante che rendesse conto di tutti i disturbi dei bambini considerati. Il risultato sembra essere stato un totale fallimento, come riconosce il libro sopra citato Rethinking autism di L. Waterhouse che ha suscitato un certo scalpore nell'ambiente.
A questo proposito ricordiamo solo che, se fino a 20 anni fa erano considerati 'autistici' solo bambini gravemente handicappati che prima ancora finivano inevitabilmente negli istituti e nei manicomi, negli anni recenti anche bambini con caratteristiche solo lievemente fuori dalla media vengono diagnosticati affetti, come ora si dice, da 'disturbo dello spettro autistico', con i famigerati test entrati in uso dovunque che ormai una diagnosi di 'spettro autistico' non la negano quasi a nessuno.

Non si tratta più di una diagnosi clinica che riflette globalmente il grave impedimento alla vita di ogni giorno che comportava la concezione dell'autismo, ma si tratta solo di assegnare un posto in graduatoria, per così dire: sopra un certo livello numerico, poniamo 10, l’algoritmo diagnostico consente di entrare nel primo cassetto dello 'spettro', sopra un altro livello, mettiamo 20, di entrare in un ulteriore cassetto, e poi in un altro ancora. In tutto ci sono tre cassetti (come le tre carte), con etichetta come si diceva Lieve Medio Grave, nello scaffale unico chiamato Disturbo dello Spettro Autistico.
Per fare qualche analogia: mi è sempre venuto spontaneo il paragone con la tosse, per esempio, dove si potrebbe creare uno 'Spettro tubercolotico' (molto più facilmente che non cercando il batterio responsabile), che sopra i 10 colpi di tosse permette di essere messi nel cassetto Lieve, sopra 20 in quello Medio e sopra 30 in quello Grave. Con buona pace per gli esami medici ematici radiografici immunologici ecc che sono alla base della diagnosi medico scientifica di tubercolosi, oltre alla valutazione clinica. O con una corsa ciclistica o podistica, dove in vari punti del percorso si prendono i tempi dei partecipanti i quali in base ai ritardi vengono suddivisi in vari gruppi, e considerati affetti da 'Lentismo Grave-Medio-Lieve...

Per fare un'altra analogia: molte persone partono per le vacanze in macchina, a inizio estate. Alcune di queste non arrivano alla meta e incontrano problemi diversi e in diverse fasi del viaggio che li ritardano o impediscono il viaggio. Ma non c'è una malattia chiamata 'aut(omobil)ismo' che si manifesta fra i vacanzieri bloccandoli chi all'inizio e chi più avanti. Ci sono ostacoli diversi: chi buca una gomma, chi brucia il motore, chi il carburatore, chi sbaglia la strada, chi è senza benzina... Magari alcuni a un certo punto si fermano, escono dall'auto, inveiscono, si arrabbiano e forse danno in escandescenze e fanno altre cose strane. Ma non hanno una identica malattia o qualche 'spettro' di malattie con sintomi simili e diversi. Hanno semplicemente incontrato diversi e comuni incidenti ed ostacoli sulla loro strada che magari li hanno rallentati e poi fatti innervosire e dare in escandescenze.
Così è per i bambini che cominciano il loro viaggio vitale e in un certo numero incontrano a un certo punto degli ostacoli che li rallentano o li fermano o li fanno deviare la strada. Magari anche loro si innervosiscono e danno in escandescenze e si mettono a fare movimenti strani, a volte... Ha poco senso cercare una malattia comune responsabile di tutte le deviazioni, molto più senso cercare di assistere i 'viaggiatori' intervenendo subito per aiutarli in caso di incidenti o altre anomalie e permettere loro di riprendere la strada senza perdere troppo tempo o senza perdersi o tornare indietro.

Venti anni di ricerca medica biochimica genetica, dunque, non hanno portato al minimo riscontro valido di quello che viene ancora pomposamente detto e scritto in ogni dove: 'L'autismo è una malattia neurobiologica'. Manca qualsiasi prova di ciò. La montagna non ha partorito il benché minimo topolino, ma solo una quantità di carta stampata che anche nelle valutazioni delle agenzie 'indipendenti' di controllo e valutazione delle pubblicazioni scientifiche, tipo la Cochrane Collaboration2, riceve per lo più giudizi insufficienti a livello di metodo e di credibilità scientifica.
Non solo. Nel concetto di 'autismo' e 'spettro autistico' diventa ormai sempre più chiaro che sono state mescolate le situazioni più diverse ed è quindi in questo minestrone o insalata di 'dati' che si è cercato di trovare il bandolo della matassa.

Che dire delle terapie che vengono distribuite ormai a pioggia: sono semplicemente fatte alla cieca, su 'malattie' inesistenti di cui non si è capito nulla. In gran parte pagano le famiglie, ma ci sono forti spinte interessate a far pagare i servizi pubblici e gli stati, per diffondere ancora di più un certo tipo di interventi.

Forse nell'impostazione di tutta la questione c’è fin dall'inizio un errore concettuale basilare. Da Kanner in poi, chi è venuto dopo si è occupato dell'”autismo” come di un'entità esistente in sé, senza metterne minimamente in dubbio l’esistenza. La proposta di Kanner di considerare i bambini con certi sintomi come affetti da una entità chiamata Autismo Infantile Precoce, fu accettata subito da tutti, pur con il profetico commento di D Winnicott. Fu accettata l’idea di una malattia di cui i sintomi 'autistici' venivano considerati un effetto, ma di cui non ci si curò di dimostrare l’esistenza.
Tali bambini vennero quindi chiamati 'autistici' e vennero indicati sintomi essenziali e accessori per diagnosticarli. E poi vennero riconosciuti sintomi simili, considerati come dei 'tratti autistici', in condizioni diverse dai casi più classici e per finire furono individuati segni indicatori e rivelatori di casi asintomatici o quasi (‘sotto soglia’), estendendo così sempre più il campo della casistica per giungere infine a considerare questi segni motivo sufficiente per comprendere tutti i casi in un unico insieme, lo Spettro Autistico. Il calderone unico che aveva temuto Kanner si era così realizzato.

Ma il rischio è che questa entità in realtà non esista, visto che non se ne è mai dimostrata alcuna realtà effettiva e che si tratti in effetti di un costrutto astratto, un concetto, un 'fantasma' o un vero e proprio 'spettro', come la parola stessa suggerisce nella lingua italiana, cui non corrisponde un oggetto reale Un campo più mistico-teologico che scientifico, alla fine.
Esistono invece bambini e le loro famiglie che trovano degli ostacoli e delle difficoltà nel seguire la loro strada evolutiva per cui vengono ad accumulare 'ritardi' nel percorso previsto, o a volte 'deviazioni' dalla strada considerata 'normale', o comune. Ho l'impressione che occuparsi di 'autismo' e delle teorie che sono state costruite per 'spiegarlo' abbia impedito a lungo di vedere questi bambini nel loro sviluppo e i fattori che potevano e possono ostacolarlo. Quasi come la filosofia medievale che si è occupata di categorie astratte, con grandi diatribe sulle caratteristiche trascendenti soprannaturali e che ha impedito a lungo di tornare a osservare i fenomeni reali naturali.
Proviamo a ripercorrere la storia di questo errore.

L’errore concettuale dell’autismo

La psichiatria ha cercato di seguire il modello medico delle malattie come emerso nella medicina occidentale negli ultimi secoli, basato essenzialmente sul principio lineare di causa-effetto, una lesione una malattia. In questo è stata seguita nell'ultimo secolo da una parte della psicologia che è stata dominante negli ultimi decenni.
Il modello medico della malattia si basa sui seguenti punti, in un'estrema sintesi.
Sintomi e segni → ipotesi diagnostica di lesione o processo lesivo → conferma strumentale → terapia stabilita da prove scientifiche.
Esempio I Sintomi (febbre, mal di gola, esantema) → diagnosi (scarlattina) → conferma (esami ematici, immunologici, microbiologici) → terapia (antibiotici).
Esempio II Sintomi (crisi epilettica, cefalea, segni obiettivi neurologici, edema del fondo oculare) → diagnosi (processo espansivo cerebrale, tumore) → conferma (RMN, TAC) → terapia (medica chirurgica radiante).

Nonostante le speranze, in psichiatria nella grande maggioranza dei casi non è stato possibile seguire il modello medico, se non nell'uso del camice, del linguaggio per addetti, nell'organizzazione burocratica, della vulgata malattia-farmaco perché ai sintomi (comportamentali) non è stato possibile, salvo eccezioni, associare conferme strumentali, biochimiche, anatomiche, di lesione di organi e delle loro eventuali cause. Le eccezioni sono appunto quei casi in cui a determinati sintomi psichiatrici si aggiungono sintomi neurologici e gli esami confermano la presenza di processi patologici infiammatori, dismetabolici o tumorali ecc. Nella maggioranza dei casi anche dopo anni e decenni di 'malattia' o 'disturbo', termine usato in psichiatria per sfuggire agli obblighi del modello medico – che impone appunto il riscontro strumentale e la dimostrazione dell'etio-patogenesi - mantenendone i vantaggi di attribuire a una data entità la causa dei disturbi, senza doversi però curare di dimostrarne l'esistenza) non vengono trovati, nemmeno a livello autoptico, significativi indizi di un processo lesivo cerebrale cui si possano imputare i sintomi.
Le terapie in questi casi sono partite alla cieca, dalla scoperta casuale di effetti farmacologici grossolani sui sintomi (sedazione, eccitazione) e dallo sviluppo di farmaci simili a quelli scoperti casualmente. Le possibili ipotesi etio-patogenetiche, la più famosa quella dello 'squilibrio biochimico cerebrale', sono sparite senza lasciare traccia, sembrerebbe.

Qualcosa di simile è avvenuto per il cosiddetto 'autismo'. Concetto mal definito, da sempre, fra sintomo e 'sindrome' (ossia insieme di sintomi il cui rapporto non è ben conosciuto) gli si è attribuito a un certo punto il valore di 'malattia’. In questo modo è stato possibile attribuirgli la causa dei sintomi autistici, in un circolo magico che ha prodotto l'affermazione che si legge in ogni trattato degli ultimi anni: “l'autismo è un disturbo neurobiologico le cui cause non sono ancora conosciute”. Come dire: “l'autismo è causa dell'autismo”. Assurdo e tautologico, quindi, ma secondo l’accordo di tutte le ‘autorità’ ufficiali in materia si tratta di qualcosa sicuramente di natura neurobiologica. Ipse dixit, si diceva ai tempi della Scolastica. L’essere umano stesso è di natura neurobiologica, d’altronde, e la progressiva estensione dei criteri di inclusione dello ‘spettro autistico’ sta procedendo verso il comprendere l’intera umanità in quello che diventerà allora lo ‘spettro umano’.

Il mito dell’autismo

Il concetto di autismo dunque, ripreso col significato di quadro clinico specifico dallo psichiatra infantile Kanner nel 1943, ha avuto un grande successo ed è diventato una cosa enorme e per così dire utile per tutte le stagioni. Da questo momento in poi ognuno, fra i clinici e i ricercatori delle più diverse tendenze e orientamenti, psichiatri, psicologi, psicoanalisti, educatori, ecc., lo ha ripreso per i suoi scopi e utilizzato secondo i suoi interessi e necessità. Leggendo gli articoli e libri degli anni ’60 e ‘70 del secolo scorso si trovano descritti casi di bambini 'autistici' diversissimi fra loro, inconfrontabili spesso anche all'interno delle diverse correnti e scuole della psichiatria e della psicoanalisi.
Nessuno si chiedeva se questa entità esisteva davvero o cercava di dimostrarne l'esistenza, ma tutti cercavano di trovarne il nocciolo, che - a parte i neurotrasmettitori squilibrati o i 'neuroni specchio ' forse rotti - per qualcuno era lo 'stato mentale autistico', per altri la 'mancanza di una teoria della mente', o l'ipersensibilità agli stimoli, ecc., ecc. L'esistenza dell'”autismo” era sempre data per scontata, al di là della necessità di prove dell'esistenza di questa entità.

Veniva affermato nei primi tempi che la definizione dell'”autismo” aveva permesso di differenziare questo tipo di bambini da tutti gli altri con cui erano prima mescolati, negli istituti, cioè bambini e persone con handicap di vario tipo, insufficienze mentali, traumi, infezioni, ecc. Si pensava che ciò avrebbe permesso grandi progressi nella ricerca delle cause e delle terapie.
Prevaleva però un caos in cui ognuno vedeva un suo 'autismo' in una vera e propria Babele che ricorderà bene chi seguiva convegni e pubblicazioni di quegli anni.

È per ovviare alla confusione e alla difficoltà di confronto fra i diversi clinici che partì negli anni ’80 l'ondata revisionistica americana della psichiatria statistica diagnostica che produceva i vari DSM 3, 4, 4R ... cercando di stabilire una base comune per la definizione delle diagnosi psichiatriche. L'insoddisfazione dei risultati conduceva via via a sempre nuovi cambiamenti che alla fine, nel DSM5 portarono per quanto riguarda l'autismo a riunire di nuovo quasi tutti i casi di alterazioni dello sviluppo in un’unica categoria, lo Spettro Autistico, tornando alla confusione e indifferenziazione del periodo precedente la scoperta o invenzione dell'autismo.
La presenza di qualche sintomo simile porta a mettere tutti nello stesso calderone, anche se una quantità di altre caratteristiche sono completamente diverse. Il tutto sempre senza il minimo riscontro strumentale che dimostri la presenza di un'alterazione neurobiologica o neurofisiologica di base documentata.

Così il dare un nome alla cosa ottenuta mettendo insieme alcuni segni e sintomi e caratteristiche ha creato un'entità che ha avuto subito per così dire vita autonoma e che è diventata l'oggetto di ricerche e studi miranti a descriverne gli attributi e le qualità e cercarne le manifestazioni nei vari modi in cui potevano apparire. Clinici e ricercatori hanno in tutti i modi cercato di definirne le caratteristiche e i modi di funzionamento raccogliendone e classificando in modi sempre più raffinati le manifestazioni e cercando di riconoscerle anche se mimetizzate variamente negli esseri viventi. Ma tutto ciò non costituisce una prova evidente dell'esistenza di quella entità e dimostra che la questione è rimasta a un livello mitico-teologico più che a un livello scientifico.
La conclusione di questo discorso è che forse l'autismo non esiste, ma tutti hanno sempre creduto che esistesse e si sono comportati di conseguenza. Un po' come la fiaba dei Vestiti dell'Imperatore di Andersen: come è noto solo un bambino ha avuto la spontaneità, per non dire il coraggio e l'improntitudine, di gridare che il re era nudo.

Bisognerebbe quindi forse lasciar perdere il termine autismo, perché è ingannevole e a questo punto più dannoso che utile: dà l'idea che si conosca la ragione di certi fenomeni, mentre si ammette che non se ne conoscono ancora scientificamente le cause. È un rimedio peggiore del buco (della mancata conoscenza): semplicemente si sposta la questione a piani superiori, per così dire, lasciando ai piani inferiori il compito di esercitare pratiche magiche e rituali. Mi sembra una situazione simile a quando gli uomini pensavano di conoscere la ragione dei fulmini: era Giove che li lanciava e i sacerdoti erano deputati ai riti e sacrifici atti a placarne l'ira.
Come sappiamo nella storia della civiltà le spiegazioni mitico-religiose precedono le conoscenze scientifiche ma spesso persistono indefinitamente. La cosiddetta diagnosi di 'Autismo', che tanto ora occupa gli addetti ai lavori e terrorizza le famiglie, rischia infatti di essere una spiegazione mitico-religiosa che non aiuta la nostra conoscenza, ma si limita a rassicurare – paradossalmente – le persone e gli 'esperti ' stessi rispetto all'ammettere di non sapere. Come si diceva un tempo della malattia mentale3, anche l’autismo è forse in realtà un mito. Come nei miti nell’antichità, il mito serve anche a giustificare un certo stato di cose proclamandone l’origine divina, o in questo caso ‘scientifica’, usando la scienza in modo assolutamente improprio, laddove invece manca qualsiasi giustificazione reale di tale stato di cose.

Ovviamente esistono le persone con difficoltà del tipo comprese nel termine 'autismo' e abbiamo bisogno di termini per descriverle e capirne le difficoltà ed aiutarle ad affrontare le loro disabilità. Ma i termini 'autismo', 'autistico' ecc si sono ormai caricati di troppi significati mistificanti e sarebbe bene a questo punto rinunciarvi e sostituirli con altri che non impediscano di vedere le cose. Specialmente nell’infanzia che ora è investita insieme alle famiglie dal grave incubo del Sistema Autistico.

I bambini con difficoltà nello sviluppo e le loro famiglie hanno bisogno di aiuto per affrontare i problemi che incontrano. C'è bisogno però per questo non di 'specialisti di autismo' ma di 'specialisti dello sviluppo ', che abbiano le competenze necessarie per gli eventuali aspetti sia medici che psicologici e relazionali che possono essere in questione. Gli stessi specialisti, d'altronde, dovrebbero essere in gioco anche per seguire lo sviluppo dei bambini con malattie neurologiche e di altro tipo, conosciute e documentate, che danno difficoltà nello sviluppo e a volte disabilità e handicap di vario grado. D’altra parte dal calderone dell’autismo si sono via via distaccate delle sindromi neurologiche ora riconosciute, come la sindrome di Rett e la sindrome di Landau-Kleffner, fra altre, che hanno caratteristiche specifiche e documentabili e rientrano ora nel novero delle malattie che possono dare sintomi simili a quelli considerati ‘autistici’ e disabilità conseguenti. Utilizzando i criteri diagnostici meccanico-quantitativi in uso risulterebbero ancora compresi nello spettro autistico.
Questo tipo di specialisti dello sviluppo a mio parere è venuto a mancare in questo momento nei servizi sia pubblici che privati che si occupano di bambini, sostituiti da ‘tecnici’ esperti in settori specifici ma limitati che non hanno la competenza clinica globale necessaria. Tale competenza non è fatta dalla sommatoria di tante competenze limitate - tanti bambini insieme non fanno un adulto - come invece è stato il modello imperante negli ultimi decenni che ha portato appunto alla settorializzazione, alla perdita di competenze globali e alla situazione di cui fanno spesso esperienza le famiglie in questione quando si rivolgono ai servizi esistenti.

Sarà probabilmente un problema che avrà ripercussioni crescenti nel prossimo futuro, con l’uscita di scena del personale medico e sanitario formato negli anni ’70 –’80 del secolo scorso, che aveva una visione ampia ed allargata delle problematiche sia mediche che psicosociali dello sviluppo e della vita mentale, sostituito progressivamente da personale con formazione più meccanica e settoriale. Questo è d’altronde qualcosa che sta già investendo tutta la medicina e l’organizzazione sanitaria e sociale del nostro tempo.

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AVVISO IMPORTANTE: i consulti on/line hanno solo valore di consigli e non intendono sostituire in alcun modo la visita medica o psicologica diretta.