La Bolla dell'Autismo' Capitolo 9 Spinta vitale e disturbi dello sviluppo.

CONSULTI PER BAMBINI ADOLESCENTI E FAMIGLIE

Da La Bolla dell'Autismo, G Benedetti, aprile 2020.

Capitolo 9

Spinta vitale e disturbi dello sviluppo. Interesse, curiosità, desiderio di conoscere.

Gli autori che si sono occupati di sviluppo psichico concordano sull’attribuire lo sviluppo di tutti gli esseri viventi a una spinta evolutiva innata. Con nomi diversi (elan vital, spinta vitale, pulsione di vita, ecc.) Bergson, Montessori, Vigotsky, Freud, Darwin, ecc., non ultimo Dante con il suo “amor che move il mondo e le altre stelle”, tutti, religiosi e laici, vedono lo sviluppo degli esseri viventi come il frutto di una forza vitale che agisce in natura come motore dello sviluppo di ogni essere vivente secondo una programmazione, per così dire, specifica per ogni specie, basata, ora sappiamo, sul corredo genetico che contiene le potenzialità di sviluppo specie –specifiche.

Ogni essere vivente, del regno animale o vegetale, sviluppa le caratteristiche e le abilità proprie della sua specie sulla base dell’incontro fra la propria dotazione innata e l’ambiente circostante, che fornisce gli elementi essenziali, come la nutrizione e le condizioni ambientali, ecc., per la realizzazione delle potenzialità presenti in nuce nel singolo individuo. Natura (genotipo) e cultura (condizioni ambientali) contribuiscono entrambe alle manifestazioni (fenotipo) che osserviamo nei singoli individui, che si tratti di animali, alberi o persone.

La spinta evolutiva la vediamo all’opera nel bambino (e nell’adulto) sotto forma di interesse, curiosità, desiderio e un’attenta osservazione può far cogliere le differenze fra i diversi individui.

Perché alcuni bambini piccoli mostrano interesse e curiosità e desiderio di conoscere e di entrare in contatto e comunicaree altri, alla stessa età e apparentemente con capacità simili, e altri no o comunque meno? Escluse situazioni di ritardo mentale, disturbi sensoriali, epilessia, ecc., non si trovano cause cerebrali per motivare queste differenze. Escludendo anche le condizioni di deficit sensoriali visivi ed uditivi, e le condizioni ambientali gravemente carenti come quelle viste nei casi di ‘autismo istituzionale’, è possibile che siano in gioco cause ambientali meno drammatiche ed evidenti? Che ci siano cioè condizioni ambientali che facilitano e stimolano curiosità e interesse e desiderio espressioni della spinta vitale innata, e altre che le ostacolano? Su questi aspetti mi sembra che la ricerca psicologica e psichiatrica sia stata molto carente negli ultimi decenni, anche se per fortuna recentemente si assiste a una ripresa di studi sugli effetti sul cervello, funzionali e anche anatomici, di eventi ambientali negativi, come trascuratezza ed abuso1. I risultati sembrano incoraggianti 2. Come se la ricerca sui fattori ambientali umani, cacciata dalla porta, rientrasse dalla finestra, cercando di non fare troppo rumore.

È lapalissiano che desideri e curiosità siano incentivati dalla gratificazione e dalla facilità di accesso agli stimoli adeguati, e poi dalla motivazione, che può far superare anche ostacoli e difficoltà, come in chi non esita a lanciarsi alla conquista dell'Everest. Ma questo viene dopo. All'inizio disponibilità, facilità di accesso e gratificazione sono probabilmente gli aspetti più importanti per rinforzare o scoraggiare la spinta vitale. Chi ha successo in un tentativo tenderà ad andare avanti nell'esplorazione, chi fallisce dopo qualche tentativo abbandonerà il gioco, la ricerca, ecc.

Quindi la mancanza di successo nei tentativi fatti, ma anche la mancanza di occasioni, di disponibilità, di possibilità di esperienza, la difficoltà di avervi accesso e la mancata gratificazione possono essere dei fattori di ostacolo alla spinta conoscitiva. Chi non ha a disposizione una bicicletta non impara ad usarla, chi non ha un fiume o piscina ecc., non impara a nuotare. Ma anche chi ce l'ha e non ci si butta... È noto che il grande scalatore ed esploratore Reinhold Messner non sa nuotare. Chi non ha a disposizione un mare dove fare esperienza, non imparerà a nuotarci dentro. Se l'acqua non ci sta, la papera non galleggia, dice l'adagio.

È possibile che di fronte a condizioni in cui le esperienze conoscitive sono poco favorite ci possa essere a un certo punto una rinuncia, un ritiro dai tentativi, per eccesso di frustrazione? Certi bambini mostrano una, si dice, scarsa tolleranza alle frustrazioni e tendono a rinunciare ai primi ostacoli, dopo pochi tentativi. È possibile che questa condizione, osservabile e segnalata di frequente, da famiglie e insegnanti ecc., sia non tanto una base di partenza, innata, genetica (come tende a pensare la psicologia biologica, diciamo così), ma un punto di arrivo di precedenti esperienze frustrate e frustranti, in seguito alle quali a un certo punto il bambino rinuncia a continuare a provare? Almeno possiamo mantenere il dubbio.

Osservando certi bambini si può notare come una dicotomia, una scissione della loro curiosità, interesse e desiderio: da un lato una normale o quasi curiosità e interesse per oggetti, giochi e ambienti, dall'altro quasi nessun interesse e curiosità per le persone, per l'entrare in contatto e il comunicare. Ci sarà qualche neurone specchio o simile che differenzia gli oggetti inanimati da quelli animati? O potrebbe essere possibile che per questi bambini sia stato più facile avere a che fare con oggetti che con persone, perché i primi sono e sono stati di facile accesso, conoscibili, prevedibili, mentre le persone lo sono state molto meno, per motivi diversi? Può darsi che vi sia un limite, una soglia alla tolleranza della frustrazione nel rapporto con le persone e che il bambino quindi sopra questa soglia desista dall'interesse per una parte del mondo, quello umano, per mantenerlo per quello delle cose, più facile da conoscere? Ma le soglie, come quelle di tolleranza al dolore, alla fatica, ecc., dipendono anche dall’esperienza fatta, dall’abitudine, dall’allenamento.

Ciò pone la questione di valutare la qualità delle esperienze, e non solo la quantità, messa a disposizione di un bambino per la sua crescita. Non diversamente dall'ambito alimentare, nel quale oggi sembra esserci molta sensibilità per la qualità degli alimenti - anche se una parte del mondo ha ancora il problema della quantità e della fame - anche nell'ambito della crescita psicologica dovrebbe esserci una analoga sensibilità per la qualità delle esperienze di cui un bambino può aver bisogno. L'insufficiente e la 'cattiva' alimentazione (fisica e mentale) possono avere conseguenze negative per la crescita e la salute (fisica e mentale).

Nel campo della crescita e della salute psichica conosciamo ancora molto poco sulla qualità delle esperienze utili e necessarie e sui possibili aspetti ‘tossici’ o sfavorevoli. Le non mai abbastanza citate osservazioni di bambini cresciuti negli orfanatrofi e poi adottati mostrano come la carenza di certe esperienze o gli aspetti 'tossici' di quelle avute possono essere negative per lo sviluppo e la salute delle persone.

Una scienza dello sviluppo strabica fino ad oggi si è occupata quasi solo di misurare prestazioni e di cercare caratteristiche biologiche cellulari, biochimiche e genetiche, dietro le difficoltà di sviluppo e di salute psichica. Non si è occupata delle condizioni ambientali umane. Bisogna che venga colmata questa grave carenza, tornando alle osservazioni di Montessori3, Vigotsky4 e altri, che in qualche modo sono state isolate e relegate al contesto pedagogico educativo ed espulse da quello psicologico psichiatrico, almeno nella mia esperienza.

Sembra quindi fondamentale ridare vigore agli studi e alle ricerche psicologiche sullo sviluppo infantile, da una parte, a livello formativo e di ricerca, e dall’altra, a livello assistenziale, aggiungere a quello che si fa oggi a cura di pediatri ecc. negli screening per lo sviluppo, i necessari elementi di attenzione alla situazione globale ambientale del bambino. Non solo o non tanto quindi valutare le prestazioni con i vari test alla moda, ma valutare gli ambienti intorno al singolo bambino in modo da poter eventualmente fornire loro l''acqua' che manca per imparare a 'galleggiare' nell'ambiente umano sociale. È quanto mai evidente la necessità di formare pediatri e altri operatori sociali e sanitari per avere le competenze a valutare questi aspetti ambientali. I tempi forse sono maturi.

Nell’editoriale dell’ultimo numero di un’importante rivista scientifica leggiamo queste importanti affermazioni: "Nei servizi di assistenza primaria, l'attenzione alla valutazione e al miglioramento della sensibilità delle figure primarie (caregiver) nella prima infanzia non è ancora uno standard di cura e assistenza (care) nella promozione della salute in generale, così come lo è l'attenzione di routine sulla dieta, la sicurezza, la parola e il linguaggio, le capacità cognitive, motorie e immunitarie. I dati disponibili indicano ora che la valutazione e l'attenzione alle pratiche di cura e accudimento (care living) dovrebbero diventare una parte di routine dell'assistenza primaria pediatrica.” 5

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AVVISO IMPORTANTE: i consulti on/line hanno solo valore di consigli e non intendono sostituire in alcun modo la visita medica o psicologica diretta.