'La Bolla dell'Autismo' App 1 Dibattito

CONSULTI PER BAMBINI ADOLESCENTI E FAMIGLIE

Da La Bolla dell'Autismo, G Benedetti, aprile 2020.

Appendice 1

Dibattito su ‘abbandonare l’autismo’.
Cenni storici di una controversia

Può essere utile riportare le tappe essenziali di un dibattito esistente da quasi un decennio a livello internazionale sull'utilità e la validità o meno della diagnosi di Spettro Autistico, di cui in Italia non è giunta quasi traccia, se si eccettua l’informazione che ho cercato di dare sul mio sito.
Come descritto in vari capitoli, negli ultimi decenni il campo dell'autismo è venuto a configurarsi, seguendo la classificazione del DSM5 promulgata dalla Associazione Psichiatrica Americana, in una unica categoria diagnostica che raccoglie tutti i disturbi dello sviluppo precedentemente considerati in maniera distinta. Resta ora l’unica categoria di 'spettro autistico', distinta in tre gradi di gravità e collocata fra i cosiddetti 'disturbi del neurosviluppo' (neurodevelopmental disorders). Questa classificazione ha invaso il mondo quasi senza trovare resistenza, ma nell'ultimo decennio hanno cominciato a manifestarsi più o meno apertamente delle posizioni critiche, rimaste all’inizio isolate e sotto silenzio ma che progressivamente hanno portato le autorità dell’autismo a riconoscere le difficoltà segnalate e la necessità di cambiamenti, almeno nell’ambito della ricerca.
Una prima critica all’utilità delle categorie diagnostiche in uso, di fronte ai troppi errori diagnostici, all’inaffidabilità e all’inattendibilità delle diagnosi nella prima infanzia, è stata nel 2010 la proposta di C Gillberg, dell’Università di Goteborg, Svezia, del concetto di ESSENCE (Early Symptomatic Syndromes Eliciting Neuro-developmentale Clinical Examination, sindromi sintomatiche precoci che richiedono esami clinici neuroevolutivi). Questa formula dovrebbe essere usata come formula diagnostica generica onnicomprensiva in cui raggruppare tutte le situazioni di alterazione dello sviluppo, dallo spettro autistico, all'iperattività, al disturbo del linguaggio, ecc. spesso mal distinguibili e variabili nel tempo, come una diagnosi di attesa da usarsi per evitare i troppi errori diagnostici. (Vedi Appendice 2).
Un secondo momento fu la pubblicazione nel 2012 in America del libro “Rethinking Autism” (ripensare l’autismo), della Dr. Lynn Waterhouse dell’Università del New Jersey, Stati Uniti (vedi capitolo 5). Il volume come abbiamo visto esamina sistematicamente e approfon-ditamente (più di 400 pagine) una quantità di dati e risultati delle ricerche degli ultimi vent'anni sulle cause, la sintomatologia, l'evoluzione e il trattamento dell’autismo. La conclusione è che tanti sforzi e tanti finanziamenti hanno praticamente fallito l'obiettivo di trovare la causa dell'autismo (e una cura!). L’autrice arriva ad affermare che non esiste una patologia specifica responsabile dell'autismo e non esiste nemmeno un 'autismo' in sé, né uno spettro di disturbi correlati, ma esistono solo disparati sintomi autistici che, come la febbre, non sono una malattia in sé, ma il risultato di cause diverse. Conclude formulando la proposta di cambiare radicalmente i metodi, i criteri, i concetti della ricerca, partendo dal rinunciare alla diagnosi di autismo.
Nel luglio 2014 Lynn Waterhouse e Christopher Gillberg ribadiscono la necessità di abbandonare smantellare, il concetto di autismo. Il loro articolo si intitola Why Autism Must be Taken Apart. Nell' abstract si legge: "sebbene emergano sempre più prove che l'autismo si trova in molte diverse disfunzioni cerebrali, i ricercatori hanno tentato di trovare un'unica disfunzione cerebrale che provi la validità neurobiologica dell'autismo senza riuscirci...La credenza che ci sia una singola disfunzione cerebrale che definisce lo spettro autistico deve essere abbandonata. I ricercatori devono esplorare la variazioni individuali... "
La nuova concettualizzazione proposta, che invita a ricercare estesamente la relazione fra i sintomi e le possibili diverse disfunzioni cerebrali, rinunciando a una teoria unificante dell'autismo, resta sempre all'interno di una visione esclusivamente neurobiologica, ma almeno fa giustizia di clamorosi errori concettuali e metodologici che sono riconosciuti essere a questo punto un grave ostacolo al progresso delle conoscenze nel campo.
Un'altra voce critica dell'attuale diagnosi di autismo/spettro autistico è di Eric London, del New York State Institute for Basic Research in Developmental Disabilities, Albany, NY, USA, che già nel 2014 scriveva un articolo dal titolo inequivocabile: "Categorical diagnosis: a fatal flaw for autism research?" ("Diagnosi categoriale:un difetto fatale per la ricerca sull'autismo?"
In una 'conversazione' del 21055 l'autore chiarisce vari aspetti critici della diagnosi di autismo. “Una tale diagnosi ha dato falsamente l'idea che noi conosciamo bene la questione. Paradossalmente questo scoraggia ulteriori approfondimenti e riduce le informazioni che un medico può avere a disposizione”. D'altronde, dice, " è un fatto triste constatarlo, ma le ortodossie muoiono lentamente, e la scienza - che dovrebbe essere guidata dall'evidenza - tende ad essere conservatrice quanto ogni altra cosa." London raccomanda quindi di mettere da parte la diagnosi di spettro autistico e di utilizzare invece come diagnosi globale quella di Disturbo dello sviluppo cerebrale occupandosi invece dei sintomi in rapporto allo sviluppo del cervello. Si dovrebbe focalizzare l'attenzione sui diversi sintomi e i diversi quadri clinici per analizzarli approfonditamente. Afferma inoltre che il DSM5 non si è rivelato utile per chiarire il campo dei disturbi dello sviluppo e ricorda che il National Institute of Mental Health, principale agenzia americana per la salute mentale, nel 2013 aveva proposto un'alternativa al DSM con il sistema RDoC, ‘Research Domain Criteria', per concentrare l'attenzione sulle funzioni in gioco, più che sulle diagnosi categoriali.
Nell'aprile 2015 un genetista, Thomas Bourgeron, dell’Human Genetics and Cognitive Functions Unit, Institut Pasteur, Paris, France, in una Lecture su The genetics and neurobiology of ESSENCE prende una posizione per così dire intermedia. Da un lato sembra accogliere l'invito di Waterhouse e Gillberg di abbandonare l'autismo ("Come suggerito da Waterhouse e Gillberg potrebbe essere meglio abbandonare la credenza che ci sia una singola disfunzione cerebrale alla base dello Spettro Autistico") dall'altra però propugna ulteriori ricerche biologiche sull' ESSENCE, confermando l’idea di questa categoria come una nuova diagnosi onnicomprensiva di patologia che interesserebbe il 10 % dei bambini ( e in forza dei numeri potrebbe attirare ancora più finanziamenti alla ricerca).
In seguito, nel dicembre 2016, è comparso un articolo dal titolo Validità del Disturbo dello Spettro autistico (ASD Validity), di Waterhouse L, London, E & Gillberg,C, che uniscono i loro sforzi per ribadire una volta di più che la diagnosi di Spettro Autistico (SA) è priva di validità biologica e logico-scientifica. Gli autori affermano la necessità di abbandonare questo concetto, la diagnosi di SA e i criteri relativi, sia nel campo della ricerca che nel campo della clinica. Aggiungono che è probabile che ci sarà una forte resistenza a questo grande cambiamento, per l'entità degli interessi in gioco.
Nel gennaio 2107 l'editoriale di Autism research - rivista ufficiale dell’International Society for Autism Research - dal titolo Time to give up on Autism Spectrum Disorder? (“Tempo di scartare il Disturbo dello Spettro Autistico?”), prende finalmente posizione sul tema. Ammette l'esistenza di difficoltà e problemi derivanti dalla terminologia e dai concetti finora usati, unificando indebitamente una situazione che invece presenta una grande eterogeneità, ma rifiuta la necessità di cambiare tutto.
L'impressione è che si tratti di una difesa d'ufficio da parte delle autorità ufficiali, per così dire, dello Spettro Autistico. Le argomentazioni cercano di respingere le critiche e rifiutano di rinunciare ai concetti e agli strumenti finora usati, ma riconoscono l'esistenza di problemi da affrontare meglio, primo fra tutti appunto la grande eterogeneità dei casi diversi fra loro raccolti sotto l'ombrello unificante dello SA, e analogamente la presenza di 'sintomi' simili in situazioni invece diverse.
Il 2 marzo 2017 C. Gillberg nel suo blog al Centro Universitario di Goteborg che porta il suo nome, torna sull'argomento con un titolo significativo, "Basta con la fede religiosa nell'ADI/ADOS”. In questo post informa del dibattito in corso sulla validità dello spettro autistico e stigmatizza l'uso ormai invalso diffusamente di fare diagnosi soltanto con i test. Commenta che molte persone sono preoccupate che i cambiamenti prospettati portino alla perdita dei servizi per le persone con problemi che attualmente hanno l'etichetta diagnostica di Autismo. Gillberg afferma di essere un sostenitore della scomposizione dell'autismo nella ricerca, mentre ritiene che sia ancora prematuro farlo nella attività clinica. C’è secondo lui la necessità di trovare concetti che colgano meglio le manifestazioni cliniche e quella di modificare i servizi specializzati per individui con 'autismo'. Vede come un grave problema la formazione del personale per le nuove necessità. Attualmente, a suo parere (che credo sia molto condivisibile NdR), gli operatori impegnati nell’autismo hanno relativamente poca esperienza nel campo dei diversi disturbi neuro-evolutivi compresi dell'ESSENCE e sembrano credere quasi ciecamente negli algoritmi dell'ADOS o dell'ADI come 'strumenti specifici per l'autismo', usati “come soluzioni magiche – abracadabra - senza più spazio per una valutazione clinica esperta e globale”.
Segue poi nel luglio 2017 la comparsa su Autism Research, di una lettera all'editore, di Lynn Waterhouse, Eric London, Christopher Gillberg, dal titolo "The ASD diagnosis has blocked the discovery of valid biological variation in neurodevelopmental social impairment" (La diagnosi di DSA ha bloccato la scoperta di una grande variabilità biologica nelle difficoltà sociali neuro evolutive), in cui cercano nuovamente di attirare l’attenzione della comunità scientifica sui gravi problemi della ricerca sull’autismo derivanti dalle impostazioni diagnostiche prevalenti.
In risposta viene pubblicata nello stesso numero un'altra lettera, "Abandoning ASD? A response to Waterhouse, London, and Gillberg" di Ralph‐Axel Müller, co-editore di Autism Research,che respinge abbastanza sdegnosamente l'idea di abbandonare il concetto di autismo, e dice che i ricercatori sono consapevoli che la diagnosi di Spettro Autistico include molti differenti tipi di disturbi neurobiologici, ma che è meglio, invece di abbandonare l'autismo, migliorare i metodi di ricerca...
Il 7 gennaio 2019 su Molecular psychiatry compare un articolo di Michael V. Lombardo, Meng-Chuan Lai & Simon Baron-Cohen, quest’ultimo un nome molto conosciuto nel campo: essi ammettono che la ricerca sull'autismo finora non ha tenuto conto della grande eterogeneità dei casi e che ciò ha prodotto dati fallimentari. Affermano quindi che è 'imperativo' cambiare strada. Sembra un tentativo di correre ai ripari, cercando di salvare capra e cavoli, nascondendosi dietro criteri metodologici.
Insomma a livello internazionale sembra esserci un crescendo di critiche che se non altro hanno portato alla consapevolezza di evidenti aspetti critici nella visione dominante dell’autismo. E in Italia? Forse qualcosa si muove, anche se lontano dai riflettori.
Emidio Tribulato, del Centro Studi Logos di Messina, nel suo libro 'Autismo e Gioco Libero Autogestito' del 2013, descrive una visione dell'autismo che critica la vulgata esclusivamente bio-genetica dell'autismo e dà spazio agli aspetti emotivi e relazionali . Propone inoltre una modalità di intervento col bambino basato sul 'gioco libero autogestito' come strumento essenziale per liberare il bambino autistico dai vincoli che spesso gli adulti inconsapevolmente gli pongono. Nelle conclusioni del libro sfata molte false credenze sui 'bambini autistici' e finisce per dire che "non sono bambini da educare ma da liberare" dalla sofferenza e dai vincoli che bloccano il loro sviluppo e la loro vita.
Michele Zappella in un recente articolo nega la crescita esponenziale di diagnosi di Spettro Autistico e spiega questo aumento come un errore dovuto essenzialmente a 3 fattori: - il venir meno della distinzione fra l’autismo e le altre situazioni di difficoltà di sviluppo che prima erano valutate nella doverosa diagnosi differenziale; - l'uso acritico dei test in voga, che causano troppi falsi positivi; - l'uso dei criteri diagnostici invalsi con il DSM5. A questo proposito afferma che i paesi in cui si verifica l'epidemia di Spettro autistico sono tutti a osservanza DSM5. Un confronto con i dati epidemiologici di paesi che invece fanno riferimento all'ICD10, la classificazione delle malattie dell'OMS, fra i quali Francia, Cina ed altri, mostra invece che in questi paesi le diagnosi non hanno avuto la stessa impennata. Zappella sottolinea inoltre l'importanza delle modalità con cui viene condotta la valutazione, criticando i metodi meccanici oggettivanti in voga oggi.
Flavia Capozzi nel 2017 in un ampio articolo pubblicato sulla pagina web della Società Psicoanalitica Italiana fa una attenta critica dei cambiamenti intercorsi nel campo dell'autismo, a livello di definizione, criteri diagnostici, ricerca sulle cause e sulle cure. L’autrice ritiene che la nuova definizione del DSM5 - e in Italia le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità del 2011 - definiscano l’autismo in modo troppo riduttivo e sottolinea come stia causando sia, probabilmente, l'abnorme aumento del numero delle diagnosi, sia l’orientamento delle famiglie e della politica sanitaria verso scelte terapeutiche poco appropriate ed indifferenziate. Sottolinea inoltre che la ricerca  si è orientata negli ultimi 20 anni ad indagare soprattutto il ruolo dei fattori genetici con risultati meno soddisfacenti di quanto promesso e ha avuto invece uno carso interesse per il complesso ruolo etiologico svolto dai fattori psico-socio-ambientali e in particolare dall’interazione tra geni, ambiente e società.
Quanto alla cura, l’Autrice rileva che manca al momento una ricerca attendibile sulla cura dell’autismo e commenta che assistiamo ad un’omologazione e semplificazione dei metodi che sta procedendo verso un modello educativo unico, intensivo, con intenti più addestrativi che abilitativi. Rimarca che quest'ottica, che vede il bambino con autismo “non più come psicotico ma come un disabile” (citando S. Lebovici, psicoanalista francese del secolo scorso), lascia le famiglie prive di assistenza psicologica. Effettivamente i genitori, dopo aver ricevuto una diagnosi così drammatica per il futuro dei loro figli, vengono lasciati spesso soli senza una guida, un sostegno psicologico che li accompagni ad affrontare un difficile processo di crescita e li aiuti nello scegliere il percorso di cura più adatto.
Nel complesso, quindi, ci sono anche in Italia diverse posizioni critiche dell'attuale situazione, ma isolate e poco visibili, mentre non è ancora arrivata, sembrerebbe, l'eco del dibattito che pone direttamente in questione la diagnosi e il concetto stesso di autismo, per rinnovare profondamente la ricerca e l'aiuto ai bambini con difficoltà evolutive e alle loro famiglie.
Per parte mia da anni vado scrivendo sul mio sito delle cose esistenti, per i miei 23 visitatori. Nel settembre 2019 la rivista dell'Ordine dei Medici di Firenze, Toscana Medica, ospitò un mio articolo dal titolo "Sta per scoppiare la bolla dell'autismo?" in cui informavo i colleghi sullo stato del dibattito di cui qui si parla, cui seguiva nello stesso numero un articolo di risposta che rappresentava la posizione ufficiale. Ci fu poi la mia petizione via change.org (Appendice 4) con una successiva conferenza stampa a Pistoia che ebbe una discreta ripercussione in cronaca locale e sollevò qualche mugugno.

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AVVISO IMPORTANTE: i consulti on/line hanno solo valore di consigli e non intendono sostituire in alcun modo la visita medica o psicologica diretta.