Diagnosi e disabilità

CONSULTI PER BAMBINI ADOLESCENTI E FAMIGLIE

Da La Bolla dell'Autismo, G Benedetti, aprile 2020.

Postfazione II

Diagnosi e disabilità

Alla fine di questo libro credo di dovere qualche spiegazione ai genitori dei ragazzi ‘autistici’ cresciuti e diventati ormai grandi, che forse sono perplessi di fronte al possibile cambiamento del ‘nome’ che ha accompagnato la vita del loro congiunto e la loro. Sia a coloro che ho seguito personalmente nel tempo e nei vari contesti in cui mi sono trovato, sia a coloro che non ho conosciuto ma sono toccati dalle mie considerazioni e dalle mie proposte. Molti dei loro figli sono rimasti con disabilità differenti e di grado diverso nelle capacità cognitive, nelle capacità di adattamento alle diverse situazioni sociali, nelle capacità di linguaggio e comunicazione. Con qualcuno di loro ho condiviso anni di interventi e tentativi di curare le loro difficoltà e di favorire la migliore evoluzione possibile, con esiti diversi e alterne vicissitudini.

Alcuni genitori, attivi in Associazioni che curano gli interessi dei loro figli e cercano di promuovere iniziative utili per i ragazzi come loro, hanno reagito male alle iniziative che ho avviato per cambiare l’approccio ai bambini piccoli con difficoltà evolutive finora diagnosticati come affetti da ‘Disturbi dello Spettro Autistico”. Come se temessero delle conseguenze negative da questo cambiamento. Non mi sembra che ci sia questo pericolo. I loro figli sono ormai abbastanza grandi, adolescenti e adulti, e la loro vita non dovrebbe essere toccata dalla modifica delle impostazioni diagnostiche e assistenziali per i bambini piccoli, che sembra a me necessaria. Le conseguenze del cambiamento nell’impostazione dell’assistenza ai bambini con difficoltà evolutive non dovrebbero avere ripercussioni negative sui ragazzi grandi e adulti con disabilità neuropsichiche. Dovrebbero aiutare invece ad avere un approccio più attento alle esigenze individuali di ogni persona con disabilità. L’attenzione al gruppo in questi casi rischia di risolversi in un danno per il singolo, la cui individualità è schiacciata dalla categoria del gruppo.

Ripensando all’ esperienza vissuta posso cercare di rispondere alla domanda sull’effetto che un cambiamento dell’impostazione concettuale e diagnostica può avere sulla comprensione e sull’assistenza alle difficoltà e alle disabilità dei soggetti interessati che ora sono adolescenti o adulti e delle loro famiglie. Il problema reale è a mio avviso il fatto che la diagnosi – come è utilizzata abitualmente ora - a un certo punto non serve più a chiarire e aiutare a comprendere le difficoltà della singola persona, ma rischia di confonderla nel gruppo di chi condivide la stessa diagnosi.

In questo modo problemi, difficoltà, necessità, rimedi non sono più focalizzati sul singolo individuo ma sulla categoria, sul gruppo. Si tende così a spiegare i comportamenti, magari problematici e difficili da capire, attribuendoli alla malattia diagnosticata, perdendo così la possibilità di trovare spiegazioni individuali, contestuali.

L’attenzione alla diagnosi rischia dunque di schiacciare le esigenze dell’individuo. Riportare l’attenzione all’individuo può contribuire a renderlo più visibile e comprensibile, a liberarlo dai vincoli che inconsapevolmente spesso contribuiamo a creare intorno a lui, avvolgendolo in quella che ho chiamato bolla autistica e che deriva oggi principalmente dalla diagnosi e da come viene posta.

Non vedo d’altronde che danno potrebbe derivare a una persona con disabilità neuropsichica se la sua diagnosi cambiasse da ‘disturbo dello spettro autistico’ a ‘disturbo dello sviluppo neuropsichico’, ad esempio. Come dicevo nella sezione precedente alcune delle migliori esperienze di integrazione di ragazzi con disabilità le ho viste partecipando agli inizi dell’attività di ‘Sipario’1, dove i ragazzi non erano accettati nel gruppo sulla base della diagnosi, ma delle loro caratteristiche personali. Ragazzi con diagnosi diverse stavano insieme e legavano fra loro e collaboravano in attività ed esperienze interessanti con un effetto molto positivo sul loro benessere generale.

Già ora, d’altronde, l’impostazione dell’OMS per individuare le migliori risposte da dare alle esigenze delle persone con disabilità si basa non tanto sulle diagnosi quanto appunto sulle caratteristiche delle disabilità. A tale scopo è stata definita la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) (2), che è distinta dalla Classificazione delle malattie (ICD), ora arrivata alla undicesima versione.

I cambiamenti di impostazione, anche quelli proposti a livello internazionale, vanno sulla strada di anteporre le caratteristiche e le esigenze individuali dei singoli alle caratteristiche del gruppo portatore della stessa categoria diagnostica. Mi sembra un riconoscimento che il singolo individuo ha diritto a che vengono conosciute le sue esigenze specifiche in quel dato momento in quel dato ambiente, come persona complessiva, cosa che ora col prevalere delle diagnosi categoriali viene posta forse in secondo piano.

Privilegiare la categoria della disabilità in sé tende a portare a esigenze tutte eguali e risposte uguali, scotomizzando le differenze ed eliminando le necessità individuali (come sta succedendo in questo momento), mentre privilegiare le caratteristiche della persona con disabilità tende a mettere a fuoco esigenze che non sono mai identiche per il tipo di disabilità, ma individualizzate secondo le caratteristiche specifiche della singola persona nel suo specifico ambiente.

Analogamente persone diverse, con o senza disabilita e con disabilità diverse, possono condividere esigenze derivanti da aspetti personali condivisi e da una condivisa situazione ambientale
Allo stesso modo, l’esigenza di cambiare l’organizzazione psichiatrica che si basava sui manicomi e sugli istituti fu condivisa a suo tempo da tutti i ricoverati indipendentemente dalla loro diagnosi, e anche dalle persone senza diagnosi, portando alla liberazione delle persone rinchiuse.

Perdere l’etichetta di ‘autistico’ può risolversi dunque non in un danno, ma nel vantaggio di veder riconosciute le caratteristiche individuali e le esigenze dei singoli come persone e non come portatori di etichette diagnostiche. Tanto più se queste sono sbagliate.

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AVVISO IMPORTANTE: i consulti on/line hanno solo valore di consigli e non intendono sostituire in alcun modo la visita medica o psicologica diretta.